Al tempo delle “cacciate”

4 February 2023 0 By EH(?)
(Foto dal web)

Avevo voluto gioire in cuor mio, con moderazione, qualche giorno fa, alla notizia che non sarebbe stato chiuso il Convento “Santa Chiara” di Ravello, rendendo idealmente omaggio alle tre clarisse di cui si esaltava la forza della resistenza per il raggiungimento di tale obiettivo. Anche se un particolare nella narrazione della vicenda mi aveva fatto drizzare le antenne.

Con l’offerta al papa, per le sue opere di carità, del patrimonio in loco della loro comunità – donazione accettata senza obiezione di sorta. C’è da meravigliarsi? – le suore, e con esse gli interessati (e non solo) alle sorti del Convento, avevano creduto che il contenzioso si sarebbe chiuso con la ripresa della normalità di una vita votata alla preghiera per il bene della Chiesa e delle anime dei fedeli. Specialmente di quelli che, nei momenti di maggiore difficoltà, affidano alle contemplative le loro richieste di intercessione orante.
Ma: sono i dettagli a far la differenza. Per non dirla nell’altro modo, meglio conosciuto, che ha a che fare con l’esatto contrario dell’Essere divino, sposato dalle consacrate.
L’epilogo della cronistoria evidenziava che, con il passaggio di proprietà, il futuro del Convento sarebbe stato deciso dal Vaticano. Ovvio; no?

Beata ingenuità! quella delle clarisse (in buona compagnia…) rimaste chiuse nella loro clausura, fino al giorno successivo alla diffusione della “bella” notizia, non rispondendo allo scampanellio all’uscio attivato dal commissario straordinario, p. Giorgio Silvestri. Che, dopo aver “condotto in porto” la pratica, per far aprire il portone di quell’oasi di spiritualità ha dovuto richiedere l’intervento dei Carabinieri, cui si è affiancato il sindaco della Città della Musica, in qualità di garante della salvaguardia della sua finalità costitutiva.

Risultato? Dopo un’altra giornata di prolungata resistenza alla decisione di trasferimento in altri Conventi, per il timore di segreti progetti speculativi, ieri: 3 febbraio 2023, le religiose hanno dovuto piegarsi all’ordine “superiore”. Stando a “Il Vescovado”, anche la novanta settenne, ora in precarie condizioni di salute, per oltre cinquant’anni educatrice nell’asilo annesso. Secondo le edizioni on line delle altre testate giornalistiche, al momento in cui scrivo, a lei sarebbe stato risparmiato l’allontanamento obbligato.
Per le due consorelle più giovani, invece, il provvedimento ha stabilito le “dimissioni” per la “disobbedienza” messa in atto.
Senza margini per un ricorso, ha precisato al gruppo di cittadini riconoscenti per l’apostolato svolto, che le hanno salutate alla partenza, la ormai ex clarissa italiana che ha fatto ritorno nella casa della sua famiglia, dove temporaneamente è ospitata la compagna di (dis)avventura, di origine indiana. Congedandosi con la raccomandazione ai presenti di pregare per il Convento.

E il sindaco, il dott. Paolo Vuilleumier, dal canto suo, ha rinnovato davanti agli operatori dell’informazione l’impegno “a tenere alta l’attenzione sulla vicenda”.
Ammirevole questa disponibilità che fa onore al primo cittadino ravellese, ma … ubi maior, minor cessat…
Ciò nonostante: auguri al Sindaco e, soprattutto, alla famiglia delle Clarisse, con l’espressione di particolare vicinanza spirituale alle suore sciolte dai vincoli dei voti professati con la clamorosa “cacciata”. Impressa senza girarci intorno nel titolo dato alla storia dal “QuotidianoNazionale”: “Le suore ribelli di Ravello si arrendono e lasciano il convento. E il Vaticano le caccia”.

Se non suscita indignazione nei comuni mortali, soprattutto ai rapiti in estasi da gesti di tenerezza enfatizzati e da prediche grondanti misericordia e perdono, a me leggere – e non di rado – la sola parola “cacciata” tocca un nervo scoperto, oltre che per cause attinenti all’esperienza personale e familiare, per le vicissitudini dal comune denominatore toccate a persone di stretta conoscenza. Che, con noi e con i poveri sventurati, destinatari di analoghi trattamenti, portati alla luce da organi di stampa non schierati, hanno messo in essere una virtuale class action, che ad intervalli di tempo ravvicinato registra l’incremento desolante di questuanti inascoltati e/o tacitati.
Se non riesco a vincere la tentazione di tornare sull’argomento, ad ogni occasione propizia, non è per paranoia, ma per incapacità ad accettare tutto ciò che mostra i connotati inconfondibili della contraddizione e dell’incoerenza.

Sensibilità accentuata dall’educazione e dalla formazione ricevuta, negli anni decisivi della mia crescita. Formazione di cui ho potuto godere nella mia parrocchia di origine, con la spinta a coltivarla in altre sedi idonee, quando mi sono trasferita in una città che, per i suoi peculiari aspetti di extra familiarità, avrebbe potuto facilmente disancorarmi dalle mie radici.

Invece, le difficoltà, che a tratti mi sono sembrati insormontabili, paradossalmente le ho incontrate nel posto dove abbiamo dovuto vivere, in base al Regolamento di servizio del capofamiglia e a regole retrograde – da noi sempre rispettate – appellandomi, di volta in volta, inutilmente ai Superiori di turno per un intervento rispondente alle esigenze dei figli in ogni fase della loro crescita, arrivando a decidermi per un’azione coraggiosa, troncata comunque sul nascere.
Guardando allo stravolgimento (non so quanto benefico) applicato di recente al quadro ambientale, da dove saremmo potuti uscire da ben oltre trentacinque anni, ai diritti negati su ampio spettro – fino alla ciliegina sulla torta, rappresentata dalla “cacciata” di Eugenio dal posto di lavoro, nelle modalità arcinote – la vicenda delle monache di Ravello ha fatto riaffiorare più forte la sofferenza per la negazione della cura pastorale soprattutto dei figli.

Invece io posso provare di essere cresciuta nella fede, grazie a sacerdoti e catechisti dediti al bene spirituale di fanciulli e ragazzi loro affidati. Ho da mostrare gli attestati di partecipazione al Concorso Veritas, che ogni anno mi vedeva salire, insieme ad altri compagni e compagne di corso, le scale dell’Arcivescovato per ricevere dalle mani del Vescovo quella pergamena tanto significativa per i miei genitori da conservarne la raccolta in un rullo e consegnarmelo quando mi sono sposata.

È stato quando ho portato a casa i figli, pochi giorni dopo la nascita, che è iniziato il travaglio senza fine per il quale, date le note circostanze, sarà molto, molto difficile trovare il calmante di cui necessitiamo tutti.
Per dirne una: quando mi presentai in parrocchia per chiedere l’iscrizione per la preparazione alla prima comunione di Eugenio, mi fu data la risposta indimenticabile, che mi fece gelare il sangue nelle vene. Testuale: «Non facciamo catechismo, perché in Vaticano non ci sono bambini». Invisibili!
Ci siamo arrangiati, come meglio abbiamo potuto, in tutto e per tutto. Anche con il “fai da te” in questo settore, fino alla prima comunione di Eugenio. Per la preparazione alla cresima e per quella di Daniele ad entrambi i sacramenti devo ringraziare soltanto una suora Francescana di Maria che privatamente ha assolto un compito non contemplato, all’epoca, fra i servizi erogati in questo posto.

Stendo un velo pietoso su questo capitolo del romanzo familiare, sintetizzato al massimo. Aggiungo solo che, nel giugno 2004, ad Eugenio fu conferito l’Accolitato, senza avergli fatto frequentare un corso ad hoc, “perché preparato”, fu ammesso.
Non partecipai alla celebrazione nella parrocchia, sulla carta di nostra appartenenza, in realtà assente nel ruolo che di dovere avrebbe dovuto svolgere, e che da troppi anni non frequentavo più, preferendo recarmi con i figli per la pratica religiosa in una delle chiese limitrofe.

Concludo con l’augurio, per quel che riguarda il futuro del Convento di Ravello, che la decisione adottata sia per una reale “nuova vitalità” del complesso monumentale, come dichiarato dal commissario straordinario. E perché non sia vanificata la “ribellione” delle ex occupanti, non ritenute meritevoli di quel perdono che per il papa va concesso a tutti, sempre e comunque, al punto da arrivare a definire “delinquente” un prete che non assolve. (dal Discorso ai partecipanti al Corso per Rettori e Formatori di Seminari dell’America Latina, 10 novembre 2022)

Maria Michela Petti
04 febbraio 2023