Mala voglia

27 March 2023 2 By EH(?)

Il tempo non è la panacea per le conseguenze di intrighi orditi con scientifica volontà distruttiva. Certo: soltanto per chi è costretto a farci i conti, che anzi lievitano, col passar del tempo che anima non ha.
Se non bastasse, e non ce ne fossimo accorti: al disprezzo per la noncuranza e l’abbandono, col malvezzo di poter fare e disfare a proprio piacimento nei riguardi delle persone, come fossero merce alla mercé del soffio mutevole del vento, si aggiunge la caduta nel dimenticatoio. Per effetto di quella dimenticanza a comando, tipica degli abitudinari a predominare, con il tacito assenso per opportunismo di coloro che gravitano nella loro sfera di azione.
Senza quel minimo di decenza che consiglierebbe un freno almeno al vociare contrastante con la concretezza delle azioni e che porta, invece, al facile quanto inopportuno e offensivo dichiarare, apertis verbis, di dimenticare le cose spiacevoli, ovviamente per l’ego super omnes. Tale è l’abilità acquisita per il raggiungimento degli obiettivi prefissati, nel proprio interesse e secondo il proprio metro di giudizio, inconfutabile, da aver dimenticato persino che l’ammissione di una tale abilità ha l’effetto di uno schiaffo alla sofferenza ignorata delle vittime dimenticate sotto il tappeto del menefreghismo.

Ricordare o dimenticare? Più che un dilemma dall’eco vagamente shakespeariana, è un problema e non di poco conto.
Premesso che la sensibilità di ciascuno, unita e/o influenzata dalle esperienze di vita vissuta, determina i diversi rapporti con il bagaglio di memorie personali, e che l’istinto di autodifesa psicologica può condizionare la facoltà della mente nel ricordare – più o meno vividamente – quanto vissuto, per quel che mi riguarda: sul punto concordo con Cicerone, naturalmente schivando la tentazione di qualsivoglia presunzione.
«Mi ricordo di quanto non vorrei; non posso dimenticare quello che vorrei». (Rethorica, De finibus Liber II, 104)
Chi riesce nell’operazione contraria – buon per lui/lei! Lo confesso: non so andare oltre, come vorrebbe il politically correct à la page – è un fuoriclasse, in questo come nei tantissimi altri giochi di prestigio in cui si esercita, senza soluzione di continuità.

Col favore dei vuoti di memoria, per la disinvoltura nella pratica della dimenticanza autoindotta, non stento a credere, senza ovviamente giustificarlo, che sia molto facile usare particolare indulgenza verso sé stessi, in caso di un’eventuale, e sporadica, rimembranza di colpevoli omissioni, se non addirittura di malefatte.
Comunque: le dimenticanze selettive non sono da me.
E, infatti: altri sono riusciti alla grande nell’impresa, per me titanica, di dimenticare una data: 28 marzo 2017, con tutto ciò che ne è seguito. Domani l’anniversario di quella tristissima data. Sei lunghissimi anni e… sentire tutto il peso di una disumanità oltre ogni limite…

Inoltre: in generale, magari si trattasse soltanto di selezionare i propri ricordi!
Capita, infatti, e non di rado, da parte di soggetti dal modo di fare autocratico di selezionare accuratamente decisioni e destinatari delle medesime, ricorrendo all’uso di parametri ad e contra personam nella gestione delle diverse faccende.
Come se non fosse già abbastanza l’impiego dei famosi “due pesi e due misure”.
Sempre con glaciale indifferenza verso gli avvertimenti: «Doppio peso e doppia misura sono ambedue in abominio all’Eterno». (Pr 20, 10)
E: «Non avrai nel tuo sacco due pesi diversi, uno grande e uno piccolo. Non avrai in casa due tipi di efa, una grande e una piccola. Terrai un peso completo e giusto, terrai un’efa completa e giusta, perché tu possa aver lunga vita nel paese che il Signore tuo Dio sta per darti. Poiché chiunque compie tali cose, chiunque commette ingiustizia è in abominio al Signore tuo Dio». (De 25, 13-16)

Tutto il resto, quindi, è: mala voglia…
Per dirla poi tutta e mettendola su tutt’altro piano, ci sarebbe da non trascurare la saggezza popolare del detto: “Fa’ il bene e scordati, fa’ il male e pensaci”.
Mala omnia. Nell’evidenza del classico: “Mala tempora currunt – e mi piacerebbe fermarmi qui per tentare di esorcizzare il seguito – sed peiora parantur”…

Stiamo per lasciarci alle spalle anche questo mese di marzo, durante il quale la consueta intenzione mensile della Rete Mondiale di Preghiera del Papa è stata incentrata sul tema: “Per le vittime di abusi”, illustrato dal pontefice in persona attraverso un video.
«Preghiamo – ha esortato – per quanti soffrono a causa del male ricevuto da parte di membri della comunità ecclesiale: perché trovino nella Chiesa stessa una risposta concreta al loro dolore e alle loro sofferenze.
Di fronte agli abusi, specialmente quelli commessi da membri della Chiesa – ha ammonito Bergoglio – non basta chiedere perdono. Chiedere perdono è necessario, ma non basta. Chiedere perdono è una cosa buona nei confronti delle vittime, ma sono loro che devono stare “al centro” di tutto.
Il loro dolore e i loro danni psicologici – ha puntualizzato – possono iniziare a guarire se trovano risposte: azioni concrete, per riparare agli orrori che hanno subìto ed evitare che si ripetano. La Chiesa non può cercare di nascondere la tragedia degli abusi, di qualunque tipo siano. Non vanno nascosti nemmeno gli abusi in famiglia, nei club, in altri tipi di istituzioni. La Chiesa deve essere un esempio per aiutare a risolverli e per portarli alla luce, nella società e nelle famiglie. È la Chiesa che deve offrire spazi sicuri per ascoltare le vittime, accompagnarle psicologicamente e proteggerle».

Come non essere d’accordo e non apprezzare la lodevole intenzione? Appunto: intenzione, peraltro non peregrina, in attesa di una verifica delle sollecitate, e non per la prima volta, “risposte: azioni concrete, per riparare agli orrori che hanno subìto [le vittime] ed evitare che si ripetano”.
Un deja-vu anche l’insistenza sul dovere di “non nascondere” gli abusi.
Aggiungo, en passant, che la “trasparenza” è stato un altro dei temi ricorrenti nella predicazione bergogliana, purtroppo smentita da fatti eclatanti. Un esempio? il “caso Rupnik”, tanto per restare al presente.

Senza dimenticare, oltre a ciò, la perentoria affermazione: «L’abuso distrugge sempre», corredata dalla precisazione: «Voglio essere molto chiaro su questo: l’abuso di uomini e donne della Chiesa – abuso di autorità, abuso di potere e abuso sessuale – è un pugno nell’occhio perché l’uomo o la donna della Chiesa – sia esso sacerdote religioso o secolare – è stato chiamato a servire e creare unità, a contribuire alla crescita… Il sacerdote esiste per indirizzare gli uomini a Dio e non per distruggere gli uomini nel nome di Dio».
Parole, innegabilmente eloquenti e apprezzabili, pronunciate nel corso della lunga (non un’eccezione!) intervista del papa per l’emittente televisiva portoghese TVI/CNN andata in onda nella serata del 5 settembre 2022.
Per pura curiosità: in un articolo, pubblicato il 20 marzo scorso, sul suo blog “Settimo Cielo” del “L’ Espresso”, Sandro Magister annota: le interviste “chilometriche” di Bergoglio «sfiorano ormai le 200», sebbene – rammenta – non sia di suo gradimento concederle, come ha dichiarato in quella per la testata argentina “La Nación”, in occasione del decennale della sua elezione.

A ben vedere, dunque, e considerando la copiosa comunicazione, a ritmo incessante, con l’impiego di ogni mezzo e strumento a disposizione al giorno d’oggi, deduco che parlare non stanca.
In linea di massima, mi viene da assimilare lo sfoggio di frasi ad accessori e gioielli per le centomila e più maschere della falsità e dell’ipocrisia, indossate all’occorrenza.
Beninteso: lungi da me anche il semplice desiderio di voler limitare la libertà di parola di chicchessia, rivendicando peraltro il medesimo diritto alla libertà di pensiero e di espressione, sempre nei limiti fissati dalle leggi in vigore.
Ma: non mi è gradito il dito puntato perennemente contro il generico “chiacchiericcio”, condannato a ragion veduta, e però sfruttato, a proprio uso e consumo, nell’atto di assumere decisioni sommarie e arbitrarie, quantunque prive di prove provate.

Mala voglia per la voglia irrefrenabile di vanagloria.
Sulla soglia oltrepassata, con l’illustrazione dell’intenzione di preghiera per il mese che sta per concludersi, di un perdono che ad ogni modo è stato (è e sarà… presumo) facile chiedere a nome e per colpe di altri, spingendo sempre più in là la memoria delle proprie responsabilità.
«Vanità delle vanità: tutto è vanità…
Tutte le parole si esauriscono
e nessuno è in grado di esprimersi a fondo». (Qo 1,2; 1,8)

Se bastasse pronunciare la parola “perdono” a «levarmi d’addosso un po’ di questa diavoleria, la direi», ammise l’Innominato, trovatosi «ingolfato nell’esame di tutta la sua vita», durante la tormentata notte seguita al rapimento di Lucia. (A. Manzoni, “I Promessi Sposi”, cap. XXI)
Il resto, per l’inversione di rotta nella liturgia delle scelleratezze fino a quel momento messe in atto, lo fece il cardinale Federigo Borromeo.
Quanto si è patito – e si patisce! – nella storia dell’umanità per la mancanza di una figura esemplare di tal calibro, animata in tutto ciò che diceva e faceva soltanto da umiltà autentica!
Nonostante il risultato ottenuto incontrando quel “tiranno straordinario” (Ibid., Cap. XIX) riuscì infatti a far abbassare lo scudo della sudditanza servile a don Abbondio, vittima del “diavolo” della pusillanimità che si portava dentro, facendolo strisciare ai piedi dei potenti, soltanto dopo aver pronunciato parole di disarmante significato.

«Gli errori di quelli che presiedono – affermò il prelato – sono spesso più noti agli altri che a loro». E gli chiese di rimproverargli “liberamente” le sue debolezze, per permettergli di ravvedersi. Perché solo « allora le parole acquisteranno più valore nella mia bocca, perché sentirete più vivamente, che non son mie, ma di Chi può dare a voi e a me la forza necessaria per far ciò che prescrivono».». (Ibid., Cap XXVI)

Pur sempre, il punto è: avere “orecchi per udire”.

Maria Michela Petti
27 marzo 2023