Meditando con Leone XIV sul grido di dolore esaltato alla luce dell’“intelligenza della fede”

14 Settembre 2025 0 Di EH(?)

Preludio – a mia lettura – alla celebrazione odierna dell’Esaltazione della Croce la magnificazione del “grido di dolore” emesso da Cristo sul punto di esalare l’ultimo respiro. Tema della profonda meditazione dai tratti poetici sviluppata da Papa Leone XIV nel corso dell’udienza generale di mercoledì scorso, 10 settembre 2025. Meditazione esente da ogni tentazione di filosofeggiare e/o di condurre una pseudo-seduta psicologica collettiva.

Il Papa ha suggerito di analizzare con “l’intelligenza della fede” quel grido dell’uomo-Dio che, attraverso il timbro evangelico, conferisce a quello dell’uomo comune – dettato da moti dell’animo smosso dai più svariati motivi “un valore immenso, ricordandoci che può essere invocazione, protesta, desiderio, consegna. Addirittura, può essere la forma estrema della preghiera, quando non ci restano più parole”.
È, in buona sostanza, espressione dell’intima, fiduciosa, “speranza contro ogni speranza” in un orecchio attento all’ascolto nel momento del bisogno, con la consapevolezza – pur se non nella piena lucidità di idee a causa della crisi in atto – di trovarlo in Colui che non abbandona i Suoi figli nella prova.

Quella stessa speranza riposta nel Padre dal Crocifisso che – ha sottolineato Leone XIV – non “muore in silenzio”, dopo aver sperimentato il silenzio dell’abbandono e dell’assenza, lamentato poco prima con la domanda “delle più laceranti che possano essere pronunciate: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?»”.

Grido che – ha precisato il Papa – non è “contro” il Padre, né espressione di disperazione e “di una crisi di fede”, ma di “fiducia che resiste anche quando tutto tace”, nel momento della prova estrema, e che si configura come prova della consegna della Sua vita, del dono di Sé in totale abbandono alla volontà del Padre, nell’atto conclusivo della missione salvifica dell’umanità.

Nell’ora del buio – quasi a segnalare la partecipazione del creato a quel dolore – il velo del tempio si squarciò svelando il volto di Dio in quello sfigurato del Figlio, manifestando in quell’amore così grande la Sua vicinanza all’uomo, del quale attraversa fino in fondo il dolore. Dolore – ha ricordato ancora il Papa – “che ha toccato un cuore”; quello del centurione, pagano, il quale – prendendone coscienza e riconoscendo nel Crocifisso il Figlio di Dio – segnò con la sua ammissione “la prima professione di fede dopo la morte di Gesù”.

«Gridare diventa allora un gesto spirituale».
Perché, come ci ha mostrato Cristo dall’alto della Croce, “la nostra speranza può gridare, persino quando tutto sembra perduto”.

In quest’atto, pregno di umanità e troppo spesso bollato come “segno di debolezza”, “come qualcosa di scomposto da reprimere”, si manifesta invece “un modo per restare vivi”, la forza della volontà che non intende cedere al male che tenderebbe a farci spegnere nel silenzio appesantito dall’indifferenza dei sordi alla voce dei sofferenti nelle sue diverse intonazioni e dall’assenza di un qualche cireneo, preferibilmente di uno non privo di empatia e carità cristiana.

Prosaicamente, con uno sguardo che stenta ad elevarsi – purtroppo, in non poche circostanze – nel mare magno di una realtà che non mi facilita l’elevazione spirituale, non mi è mancata la conoscenza di soggetti che sempre Leone XIV ha definito “cristiani delle occasioni”. Nella compagnia affollata di teologi per caso e di occasionali improvvisati accompagnatori spirituali, che – pur di spendere qualche parola di bene, più che altro per tranquillità della propria coscienza – si profondono in incoraggiamenti con frasi fatte in tema di “croce” e di dolore, che non risparmiano (com’è vero) alcun essere umano.

Esperienza che, almeno, non ha scalfito la validità di tale cognizione oggettiva, nella convinzione: “Ad ognuno la sua croce” che, quand’anche fosse possibile, nessuno scambierebbe con quella di qualche altro vivente in stato di affanno.

Maria Michela Petti
14 settembre 2025