Il petalo dell’oscuro “dossier” sfiorito sotto i miei occhi. La Prova

27 March 2022 3 By EH(?)

Eccomi a svelare uno dei “capi d’accusa” addossato ad Eugenio Hasler, fra quelli che gli costarono il posto di lavoro, con la condanna insindacabile emessa il 28 marzo 2017, al termine di un surreale faccia a faccia con il papa, svoltosi in un salottino della Residenza “Santa Marta”, al quale era stato convocato con un bigliettino autografo, consegnatogli appena ventiquattr’ore prima e già pubblicato dal silurato. All’incirca quaranta minuti furono sufficienti per leggere all’ex funzionario vaticano l’elenco di “addebiti”, mai formalizzati e men che meno provati, raccolti in un “dossier” rimasto top secret, e per comunicargli la sentenza “diversamente” decisa e mai scritta secondo i canoni.

Perché posso svelare io quel “capo di accusa”? Perché sono testimone diretta della conferma della sua eclatante inconsistenza, avvenuta il 23 giugno 2018 nel corso dell’ispezione del terrazzino sovrastante l’appartamento di servizio nella caserma della Guardia Svizzera, assegnato a mio marito, e da noi abitato fin dal 1981, dove mi trovavo in quel momento per stendere la biancheria.

Venendo al dunque: quale delle “accuse” mosse a mio figlio mi accingo a rivelare? La presenza di amianto sul terrazzino, appunto! Ma che non c’è! «È plastica!» fu a chiare note dichiarato, quel giorno d’inizio estate di quattro anni fa, dall’ “inviato” ad accertare il sospetto atterraggio in questo posto di un “giocattolino”, sottintendendo: un drone.
Due giorni dopo, mi premurai informare dell’accaduto, per posta elettronica … chi di dovere… con la puntuale “Segnalazione” di cui fornisco “LA PROVA”, a corredo della presente denuncia. Al riguardo, mi corre l’obbligo della seguente precisazione: la lettura dei “capi d’accusa” fu fatta il 28 marzo 2017, non il 27, come da me scritto nella “Segnalazione”. A tale data, tuttavia, s’è fermato il calendario della nostra mente: all’atto del recapito della sorprendente convocazione a comparire.
L’inizio di una storia senza logica. Incredibile ma vera.

Nonostante l’imprevisto verificatosi: tutto è rimasto in statu quo ante et nunc.
Ed io, per quasi quattro anni, fino ad oggi, mi son portato dentro anche il “peso” dell’inutile smentita di una menzogna colossale.

Perché ho deciso di alleggerirmelo un po’, ora, fornendo una frazione di verità su quella “cacciata”, di cui all’opinione pubblica fu veicolata la versione funzionale ad una narrazione verosimile?
Per seguire l’esempio del pianista, delineato da Flaiano, che “canta la certezza” di un fiore – “che non si vede” – cercato e trovato “nel buio”, e con esso il “caro conforto” dell’“improvvisa rinuncia al dolore”. Alla fin fine: “il limite al dolore”, limite che “c’è”. Basta allenarsi a questo non facile esercizio razionale, denominato “gioco” dall’illustre scrittore e giornalista.
Così: dedicandomi a questo “gioco”, del “fiore petaloso” rimasto invisibile (ma non a me, da alcuni anni; come ho scritto poco sopra), ho riconosciuto nel petalo del “dossier”, sfiorito sotto i miei occhi, la “certezza” in attesa di essere “cantata”, non con le note di un pianoforte, ma con parole capaci di mettere a nudo la rinuncia – meditata; non improvvisa, come quella del pianista – ad una parte del dolore, non solo mio.
Nella piena convinzione che la verità, prima o poi – ovviamente sperando più nel prima – finirà con l’imporsi nella sua interezza, per la sua forza intrinseca, malgrado il suo passo appaia lento a chi ne avverta un bisogno pungente.

Per il resto: mai dire mai. Può anche darsi che un giorno, forse, potremo fare nostra l’esclamazione del Renzo di manzoniana memoria: «a questo mondo c’è giustizia, finalmente!». Prima di godere di quella promessa per l’eternità: «Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati». (Mt 5,6)
E: per parte mia, in tutti i modi consentiti, senza paura, come è mio costume, nei tempi che riterrò propizi alla causa, non rinuncerò – per quanto attiene la mia sfera, strettamente personale – a far luce su quel “fiore”, ostinatamente nascosto “nel buio”. Confidando sempre e solo nell’assistenza del Signore, sperimentata nelle non poche e non di poco conto difficoltà insorte nella nostra vita, o aggravate, ad opera della miseria umana.

Per la comprensione del fatto in sé e della sua gravità, or ora rivelato, si rende necessaria almeno qualche altra precisazione. Sebbene l’esperienza vissuta, particolarmente quella dei figli – con un bagaglio inimmaginabile di limitazioni e di esigenze represse in ogni fase della loro crescita – imporrebbe una ben più dettagliata esposizione di questo che costituisce un capitolo del romanzo familiare.

Limitandomi all’essenziale, per quel che riguarda l’oggetto della mia testimonianza odierna, ricordo che: non solo durante tutti gli anni precedenti, fino al “giorno del giudizio” di Eugenio, anticipato per volontà papale, abbattutosi come uno tsunami sulla sua vita e sulle nostre con lui, nelle verifiche effettuate prima dei rari e strettamente necessari interventi di manutenzione, nessun controllore e operaio aveva mai rilevato e/o avvertito i Superiori responsabili della (insussistente) presenza di tale, pericoloso, materiale sulle nostre teste. Inoltre: anche a seguito delle sollecitazioni inoltrate agli Uffici di competenza per un accertamento – dovuto (o no?) dopo la pronuncia papale – nessuno si è preoccupato di prendere in seria considerazione la “cosa”.
E la tettoia, risalente alla metà del secolo scorso, è ancora al suo posto, come l’avevamo “ricevuta”, a far mostra di sé e delle vistose tracce del tempo passato su di essa. Eh, sì! che avevamo provato a chiederne la sostituzione – richiesta non soddisfatta “per mancanza di disponibilità economiche”, ci si rispose ufficiosamente – fin da poco dopo la metà degli anni ’90 (!), perché divenuta pericolante in un suo angolo esterno a causa delle frequenti folate di vento. E allora provvedemmo per conto nostro ad un “rattoppo”, alla men peggio.

Per finire: una sintetica descrizione del terrazzino, unico spazio (superficie calpestabile: mq 8,33) a portata di mano per una boccata d’aria e per il gioco dei figli, cresciuti nel rigoroso rispetto della “vita in caserma”. Spazio circondato da muretti ad altezza media d’uomo, sormontati da grigliate in legno che toccano la famigerata tettoia. La protezione della privacy… fisica… è assicurata, e lo sguardo non può allungarsi oltre il tratto superiore e i tetti delle palazzine circostanti…

Alla luce di quanto esposto – e, comunque, a prescindere da tutto ciò – come sia potuta piovere sul capo di Eugenio Hasler la responsabilità di una presunta presenza di amianto nel posto dove, per regolamento vigente, siamo stati obbligati a vivere, con la conseguente “accusa” spuntata a sorpresa in quel “dossier” petaloso, di cui fu data lettura per sommi capi al malcapitato, resta un “mistero”… Non della fede, però…

Maria Michela Petti
27 marzo 2022