2025 – Anno di rilancio della “speranza certa”?

“Speranza certa” che San Francesco impetrava in preghiera davanti al Crocifisso.
La speranza che non delude.
Che non è vagheggiamento di un desiderio irrealizzabile.
Ma lecito è desiderare e sperare di realizzare un sogno, un progetto di vita con dedizione e al massimo delle proprie capacità.
Abbiamo bisogno di sperare, come dell’aria per respirare, nel cammino della vita.
Ma: una volta raggiunto uno degli obiettivi che ci si propone, variabili col variare dei bisogni e delle fasi del ciclo vitale, il più delle volte non ci si sente completamente appagati, come se non si fosse concretizzato “il tutto” desiderato. Si aspira a quel qualcosa in più che si avverte mancante, a qualcosa che vada sempre più oltre.
«… appare con chiarezza che ciò non era, in realtà, il tutto. Si rende evidente che l’uomo ha bisogno di una speranza che vada oltre. Si rende evidente che può bastargli solo qualcosa di infinito, qualcosa che sarà sempre più di ciò che egli possa mai raggiungere». (30)
Così Benedetto XVI, in “Spe salvi” (Salvati nella speranza; 30 novembre 2007), riassume l’analisi dello stato d’animo umano in rapporto al sentimento comune a tutti i viventi, da che mondo è mondo: la speranza.
Che «di fatto, è una parola centrale della fede biblica – al punto che in diversi passi le parole «fede» e «speranza» sembrano interscambiabili». (2)
Il Papa teologo formula la considerazione riassuntiva (del paragrafo 30) al termine di un’articolata riflessione sulle testimonianze tratte dalla Bibbia sul tema, che dall’esame di un sentimento conduce alla sostanzialità di quella che è la virtù teologale, che supporta alimentandola la fiducia nelle promesse evangeliche e alimentandosi del loro stesso valore, nell’attesa della piena realizzazione delle medesime.
Virtù che si nutre della “grande speranza” in quel qualcosa di “infinito” che va oltre le speranze di conio personalizzato e sempre in fieri e che gratifica l’essere umano del dono che è il suo fondamento: Dio, che ci ha amati fino al sacrificio del Figlio sulla Croce e che sostiene i nostri sforzi nel conseguimento anche degli obiettivi più difficili da raggiungere con le nostre sole forze.
Perché «il suo regno è presente là dove Egli è amato e dove il suo amore ci raggiunge. Solo il suo amore ci dà la possibilità di perseverare con ogni sobrietà giorno per giorno, senza perdere lo slancio della speranza, in un mondo che, per sua natura, è imperfetto». (31)
Un mondo che, per sopravvivere alla sua imperfezione, ha bisogno della speranza operosa di ogni singolo soggetto che lo abita.
«La speranza siamo noi. Il nostro impegno. La nostra libertà. Le nostre scelte» ha affermato il Presidente Sergio Mattarella, il 31 dicembre 2024, a conclusione del consueto messaggio di auguri per il nuovo anno, facendo appello ad un’azione compatta e solidale sull’esempio di persone che, per quel che riguarda la nostra Italia, hanno scritto pagine significative nella storia del tempo che stiamo vivendo.
Riallacciandosi al tema dell’anno giubilare in corso e sollecitando quest’impegno «per una comune speranza che ci conduca con fiducia verso il futuro», il Presidente nel suo discorso ha sottolineato che «è proprio questa trama di sentimenti, di valori, di tensione ideale quel che tiene assieme le nostre comunità e traduce in realtà quella speranza collettiva che insieme vogliamo costruire».
Nulla di più propizio del saper cogliere e far fruttare i frutti di quest’anno di grazia salvifica e santificante per la realizzazione di questo progetto di “speranza collettiva”.
Emendandosi singolarmente – per il bene personale e, al tempo stesso, per il bene della comunità di cui si è membri – da difetti e vizi che con le loro conseguenze recano danno alla vita comunitaria ecclesiale e laica. Questa, e alle condizioni stabilite, la predisposizione indispensabile per guadagnarsi l’indulgenza giubilare con la pienezza dei benefici che apporta.
E la forza propulsiva della grazia ricevuta non accetta di essere sterilizzata da tendenze egoistiche e interessi individualistici: «se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto». (Gv 12,24)
Se il passaggio attraverso la Porta Santa – o anche solo la partecipazione alle celebrazioni nelle Chiese Giubilari – non si traducesse nella conversione autentica dei cuori che vanno incontro a Cristo, nella conversione totalizzante, per fede, alle certezze della fede che richiamano all’osservanza del comandamento dell’amore – alla fine – questo anno di grazia non sarà stato l’Anno Santo offerto ai credenti come occasione di ripartenza nella quotidianità con lo spirito rivitalizzato dal dono della “grande speranza” che proietta le nostre speranze più modeste verso quell’infinito cui aneliamo.
«È dall’amore dell’uno che si accende l’amore dell’altro». (Sant’Agostino, “Confessioni”, 4 – 14, 21)
Amore che non sarebbe amore se le ragioni del cuore di chi lo dichiara a parole non prevalessero su impulsi sfrenati e volontà egocentriche che spengono la speranza di ogni grado fosse anche in uno solo dei propri simili e, soprattutto, in chi nella società si trova ad essere «come un vaso di terracotta, costretto a viaggiare in compagnia di molti vasi di ferro». (A. Manzoni, “I Promessi Sposi” – Cap. I)
Maria Michela Petti
20 gennaio 2025