Lavoro & Giustizia: binomio in affanno che affanna. Senza tregua a ricordi personali gravosi.
Riflettori accesi dai mass media sul Fondo Pensioni del Vaticano in profondo rosso cronicizzatosi, che ha ispirato una Lettera del papa (del 21 novembre 2024) “al Collegio Cardinalizio e ai Prefetti e Responsabili delle Istituzioni Curiali, degli Uffici della Curia Romana e delle Istituzioni collegate con la Santa Sede”, per richiamare l’attenzione sull’urgenza di darci “un taglio” non più procrastinabile, con una riforma strutturale del sistema demandata ad uno dei suoi più stretti collaboratori, il fedelissimo cardinale statunitense Kevin Farrell, che già ricopre svariati ruoli di primo piano.
Non entro nel merito della questione, che allunga la serie di motivi da tempo causa di malcontento e di preoccupazioni per i dipendenti vaticani, che ora – attraverso l’Associazione di rappresentanza – chiedono con maggiore insistenza l’ascolto delle loro rivendicazioni e la pubblicazione (mai avvenuta) dei conti del Fondo, sostenuto anche con i loro contributi.
Nella Lettera in oggetto il papa avalla la sua decisione facendo riferimento alla «“preoccupazione” dei Pontefici che si sono succeduti sin dalla sua istituzione».
Cioè: dall’istituzione del Fondo Pensioni con il motu proprio “La preoccupazione” dell’8 settembre 1992 di Giovanni Paolo II, come ricorda opportunamente Nico Spuntoni – in un articolo al link di seguito, cui rimando – su “Il Giornale” di oggi, 24 novembre 2024. Con un’altra precisazione significativa: l’approvazione nel 2010 da parte di Benedetto XVI del «l’istituto della contribuzione volontaria per il personale iscritto al Fondo Pensioni che, alla cessazione dal servizio, non aveva maturato il diritto alla pensione».
Ben altra, rispetto a quella del regnante, la preoccupazione dei predecessori tesa ad assicurare condizioni lavorative rispettose del benessere integrale della persona, in linea con i principi della Dottrina sociale della Chiesa. Ai quali – si sottolinea nell’articolo – si sono attenuti nelle loro decisioni, e raccomandandone il rispetto nei discorsi pubblici, i Pontefici ai quali in generale «il tema del lavoro è sempre stato a cuore», non senza saper cogliere con “lungimiranza” le trasformazioni in atto nel mondo del lavoro e le sfide della modernità.
È di queste sollecitudini pastorali che, a chi scrive, fa piacere leggere.
Perché rendono meno pesante il fardello di preoccupazioni personali e familiari del passato. Di un tempo in cui il rispetto di quei “principi” – parte integrante del Magistero – si traduceva nel rispetto concreto dei dipendenti e dei loro diritti.
Senza la confondente e martellante moralizzazione (tra l’altro, anche) in materia, contraddetta da martellate reali impresse per decisione arbitraria e inappellabile, come nel “caso Hasler”.
Senza l’aggiunta di pena a pene quotidiane dovute a condizioni di vita, non dettate da volontà papale e nemmeno dipendenti da nostra libera scelta. Condizioni non a misura di bambini, ai quali, per esempio – nell’ambiente imposto quale residenza/ domicilio dal regolamento di servizio del capofamiglia – non era concessa… allora … la possibilità di giocare. E a nulla valsero le mie ripetute richieste orali di prendere in seria considerazione questa (ed altre) esigenze vitali.
Porto impresse nella mente le poche e indelicate risposte ricevute. Così come conservo prova di denuncia scritta, presentata in una determinata occasione, in un tempo lontano e non sospetto.
Perché riporto questo ricordo, incancellabile come tutti gli altri?
Perché non chiedevo la luna, equivalente – nel nostro caso – alla pretesa tutt’altro che illegittima che il papà dedicasse un po’di tempo ai figli. Non tanto e non solo per giocare con loro, che non potevano proprio giocare.
E, invece, ora, leggo dei frequentissimi richiami all’universo mondo a favore del tempo libero da concedere ai padri per permettere loro di giocare con i figli. Richiamo accolto da qualche esponente del mondo sindacale – ricevuto in udienza privata con altri colleghi, qualche settimana fa – come un avallo per rivendicazioni di interesse sociale collettivo.
Questo cambio-verso, con il tema ricorrente sulla giustizia e sui diritti dei lavoratori – di cui abbiamo sperimentato la negazione – è uno schiaffo gratuito alla nostra sofferenza.
Eh, sì. Leggo, sperando invano in un’inversione positiva della tendenza. Leggo, senza occhiali affumicati e sforzandomi di non mettere sulla bilancia di famiglia letture quotidiane del genere, non gradevoli.
L’ultima è di ieri, 23 novembre 2024.
Nell’udienza riservata ai partecipanti al corso di formazione del Tribunale ordinario della Santa Sede, il papa ha detto tra l’altro: «Giustizia, carità e verità, vanno insieme – e, se si prescinde da una, le altre perdono di autenticità. Infatti, il nostro modello è Gesù Cristo, che è la Verità ed è giusto e misericordioso.
Né giustizia senza carità, né carità senza giustizia. Una carità senza giustizia non è carità. La giustizia è virtù cardinale importantissima, che porta a dare a ciascuno il suo diritto. E questa virtù va vissuta certamente anche all’interno della Chiesa: lo esigono i diritti dei fedeli e i diritti della Chiesa stessa».
Parole che, purtroppo, non sono collirio benefico per i miei occhi.
Parole in contrasto con l’esperienza vissuta, interpetrata con l’eloquenza incisiva tipica dei napoletani:
Chi ha avuto, ha avuto, ha avuto,
Chi ha dato, ha dato, ha dato.
Scurdammoce ô ppassato
Maria Michela Petti
24 novembre 2024
Paradossi e fatti… rimossi
«…sono vicino ai lavoratori di Siena, Fabriano e Ascoli Piceno che difendono in modo solidale il diritto al lavoro, che è un diritto alla dignità! Che non sia loro tolto il lavoro per motivi economici o finanziari».
Come promesso ai loro rappresentanti e dagli stessi annunciato al termine dell’udienza privata di sabato scorso, 7 dicembre 2024, ieri – nel Dopo Angelus della Festività dell’Immacolata Concezione di Maria – il papa non solo ha manifestato solidarietà e vicinanza a questo gruppo di lavoratori italiani a rischio licenziamento; per inciso: non i soli a vivere giorni di incertezza e preoccupazioni, per gli stessi motivi! Ma ha replicato anche parole su questo diritto che suonano prive di concretezza, alla luce di fatti più e meno recenti balzati in cronaca, riguardanti “licenziamenti” irrituali, immotivati, sconsiderati, consumati nel suo “regno” e … affidati alla noncuranza e alla dimenticanza.
Affermazioni paradossali e oltretutto offensive per i privati del medesimo diritto, difeso ad ogni piè sospinto da ogni pulpito, con una retorica moraleggiante.
Parole che mi rimandano all’eloquente proverbio citato dal Nazareno “ medice, cura te ipsum” (Lc 4,23) come premessa all’obiettiva osservazione che i discepoli avrebbero potuto muoverGli per la mancanza di miracoli compiuti invece altrove, che richiese la messa in chiaro: “Nessun profeta è bene accetto in patria”.
Non penso occorrano precisazioni su chi sia il “profeta” e chi, al contrario, il soggetto che decide ed agisce in base al “proprio” giudizio insindacabile.
E: non vale la pena moltiplicare denunce e appelli (tanti!) rimasti inascoltati.
Una (ennesima) domanda, da ieri, si è insediata nella mia mente: esclusi i “motivi economici o finanziari” – quali causa di privazione dei posti di lavoro – messi al bando dal papa nell’intervento di ieri (sopra riportato): di grazia, quali sarebbero – ove ce ne fossero – quelli ammessi e giustificati nei casi in cui il lavoro “sia tolto” ?