A tutela della buona reputazione dei defunti e non solo… in teoria. Un documento del Dicastero per i Testi Legislativi

Richiamando un caso di cronaca – per la verità: non unico del genere nell’attualità della vita ecclesiale degli ultimi tempi – il portale spagnolo di informazione religiosa “Infovaticana” ha pubblicato giovedì scorso (27 febbraio 2025) un articolo dal titolo nella traduzione italiana: “Il Vaticano ribadisce la tutela della buona reputazione del defunto in caso di accuse non provate”.
Titolo che ha suscitato il mio interesse, per comprensibili motivi e di gravità non trascurabile – tuttavia trascurata! – e ben noti a chi, fin qui, ha avuto la bontà di leggerci sul “caso Hasler”, spingendomi ad una lettura attenta dei rimandi segnalati per cercare di allontanare i dubbi sollevati dalla siffatta formulazione nell’evidenza della limitazione del beneficio (sacrosanto; non lo nego) riservato ai defunti.
E per altre perplessità relative, ad esempio e per farla breve, alle conseguenze negative (per non dire: devastanti) riguardo alle aspettative e speranze di presunte vittime, specialmente nella malaugurata ipotesi di mancato annullamento del benché minimo sospetto di insabbiamento di vicende scabrose per fini non del tutto irreprensibili. Eventualità non peregrina, stante la molteplicità di scandali venuti alla luce e rimasti irrisolti nella molteplicità di elementi oggettivi controversi.
L’articolo di “Infovaticana” si riallaccia alla pubblicazione di due giorni prima (25 febbraio) sul sito web statunitense “The Pillar” (con focus sulle questioni della Chiesa cattolica) del Documento di risposta (datato 5 settembre 2024) al quesito posto in precedenza al Dicastero vaticano per i Testi Legislativi sulla “bona fama defuncti nell’attuale concezione canonica”.
Documento (al link di seguito) che ribadisce quel che, a tutti gli effetti, dovrebbe essere un principio di rilevanza indiscutibile – sancito, universalmente riconosciuto e, pertanto, scontato – riguardo al rispetto dovuto alla dignità della persona, nella sua integralità, vietando ogni attacco – soprattutto se scriteriato – alla sua reputazione.
In esso si precisa, infatti – richiamando il can. 220 (e anche i nn. 2477-2479 CCC) – che “non è lecito ad alcuno ledere illegittimamente la fama di cui uno gode”, con la precisazione che la legittimazione della sua lesione sarebbe giustificata solo nella concretezza del rischio di “pericolo o minaccia per le persone o per la comunità”. Rischio escluso “nel caso di presunti delinquenti defunti”.
Precisazione retorica e irrisoria, dal mio modesto punto di vista.
Inoltre, si sottolinea l’inammissibilità (anche per addotti motivi di trasparenza o di riparazione) della pubblicazione di tali notizie a ragione del prerequisito del consenso accordato dal soggetto interessato, cosa che porta all’esclusione automatica di quello defunto e non solo per il problema giuridico connesso alla sua impossibilità di difendersi. Ma anche per l’obbligo imposto dal rispetto di “almeno due principi del Diritto universalmente accolti: 1) il principio di presunta innocenza di chiunque, fino a prova – giudiziale – contraria e definitiva (cfr. anche can. 1321 §1); 2) il principio di non retroattività del reato”.
Principi – si ribadisce – che prevalgono su un generico «“diritto di informazione” che renda di pubblico dominio qualunque genere di notizia, per quanto credibly, a concreto detrimento e danno esistenziale di quanti ne sono coinvolti personalmente, tanto più se inesatte, o addirittura infondate o false, oppure del tutto inutili come ciò che riguarda persone defunte».
Sempre a riguardo di queste ultime, infine, la tutela della loro reputazione è resa ancor più stringente dal fatto che la determinazione della fondatezza di un’accusa è basata, all’atto pratico, su un criterio “non canonico ed esige uno standard di prova relativamente basso, comportando la pubblicazione del nome di una persona semplicemente accusata, ma di un’accusa non provata”. Contingenza su cui pesa la già richiamata impossibilità di esercitare il diritto alla difesa.
Mi sono dedicata con particolare attenzione – come si può facilmente intuire – alla lettura del Documento in oggetto che, alla fine, non ho potuto fare a meno di ritenere pleonastico. Oltre che sonoramente smentito dalla realtà dei tanti fatti, che si tenta di far dimenticare, e della pesantissima vicenda familiare che non smetterò di ricordare finché avrò la forza necessaria per farlo.
Né la cosa mi stupisce.
Tutto secondo la Parola e lo Scritto che contano veramente: «non fate secondo le loro opere, perché dicono e non fanno. Legano infatti pesanti fardelli e li impongono sulle spalle della gente, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito dagli uomini… amano posti d’onore nei conviti… come anche sentirsi chiamare “rabbì” dalla gente… E non fatevi chiamare “maestri”, perché uno solo è il vostro Maestro, il Cristo». (cfr. Mt 23, 3-10)
Maria Michela Petti
01marzo 2025