Come Renzo, con i capponi che si beccavano

22 Gennaio 2023 0 Di EH(?)

Nel perdurante diffondersi di “dolenti note”, nient’affatto sorprendenti per chi ha approfondito la conoscenza di fatti (e misfatti) riguardanti la vita ecclesiale nel pontificato in corso, non lasciano di stucco le rivelazioni del card. Gerhard Müller, che stanno dando corpo al libro-intervista dal titolo “In buona fede”, in uscita nella settimana che si apre domani. Le anticipazioni di stampa, offerte a mo’ di “antipasto” come d’abitudine, hanno suscitato un vivace dibattito a livello di addetti al lavoro.

«La bufera infernal, che mai non resta,
mena li spirti con la sua rapina;
voltando e percotendo li molesta». (Inferno, V)

Se le bufere meteorologiche si esauriscono in un arco temporale limitato, quelle che si stanno susseguendo nel mondo ecclesiale – da tempo, ormai – con una frequenza allarmante non lasciano immaginare il ripristino, a breve, di un minimo di serenità.

Fra reminiscenze letterarie e agganci a passi biblici e alla spiritualità di modelli di santità, leggendo di queste (al momento) ultime nuove, nella mia mente si incrociano figure ed esperienze del nostro patrimonio culturale e religioso.
E così, ad intervalli ravvicinati, mi rivedo nei panni di Renzo, con la testa frastornata e con i capponi che si beccavano fra loro nel percorso infruttuoso verso e di ritorno dallo studio di un Azzeccagarbugli (!) nel quale aveva risposto ogni speranza di giustizia dai soprusi di un Signorotto. “Col cuore in tempesta”, perché un uomo sopraffatto dal dolore cerca conforto in parole vagamente atte a regalare l’impressione di un alleggerimento del peso insopportabile, al termine di una giornata convulsa di conversazioni inconcludenti, continuava – nonostante tutto e tutti – a ripetere fra sé e sé “quelle strane parole”: «a questo mondo c’è giustizia, finalmente!». (“I Promessi Sposi”, cap. III)
Già! Strane parole, in un mondo e in un tempo che quanto a stranezze non ci fanno mancare proprio nulla!

Allo stato dell’arte, nulla lascia prevedere che possa rientrare negli argini il fiume esondato di pubblicazioni e dichiarazioni spontanee. Queste ultime: a lungo represse; non sempre per libera scelta, par di capire. E la cosa non risulta inverosimile, né difficile o impossibile a credersi.
Quello che non riesco a concepire è la tendenza diffusa a disapprovare, se non addirittura a negare, l’esercizio del diritto di parola ad altri, con motivazioni alquanto artefatte, nell’atto stesso dell’esternazione, da parte di chi si sta appunto avvalendo del medesimo, legittimo, diritto.

Quanto a me, non intendo lasciarmi andare alla tentazione di criticare le intenzioni di chi ad un certo punto decide di venire allo scoperto, per una ragione o per l’altra. E, perché mai non dovrebbe, in questo momento storico?
Non essendo abilitata alla critica letteraria, lascio a chi di dovere ogni giudizio di utilità comune sulla pubblicazione che fra qualche giorno sarà di dominio pubblico, trattenendo per me considerazioni personali che, in parte, ho già desunto.

Senza tuttavia rinunciare a riportare le constatazioni funzionali all’intento di portare avanti l’impegno assunto in piena coscienza, che sto adempiendo da quel dì, non solo con la scrittura, senza cedere a sopraffazioni, paura e scoramento.
Compito e finalità chiaramente resi manifesti nella Lettera aperta a Sua Santità, scritta nella notte del 5 aprile 2017, dopo aver visto scorrere attraverso lo schermo del PC il fiume di fango sul nome, sulla dignità di Eugenio, dato in pasto a porci e cani, con le pesantissime conseguenze derivate da una sentenza di condanna senza appello, emessa verbalmente nel segreto di un salottino della Residenza Santa Marta.

E figl so’ piezz’ ‘e core… Non si può subire passivamente lo strappo brutale di nemmeno un suo sol pezzo!

Dopo aver ricordato l’incontro del 30 giugno 2017, che ha “ancora bene impresso”, con l’immagine del “volto compiaciuto” del pontefice nel mentre gli comunicava la sua decisione di non rinnovargli il mandato di Prefetto dell’allora Congregazione (oggi Dicastero) per la Dottrina della Fede, il card. Müller si sofferma su altri particolari emersi nei giorni successivi, strettamente collegati alla sua vicenda. Il prelato, inoltre, punta decisamente il dito contro il “cerchio magico” di fedelissimi consulenti del pontefice, influenti – a suo dire – a tal punto da risultare determinanti anche nelle nomine di vescovi e cardinali.
Un insieme, dunque, di elementi che lo ha portato a riflettere, in particolare, su quello che definisce “stile frettoloso” nella pratica del facile licenziamento, senza fornire “giustificazioni, e da un giorno all’altro”, sperimentato precedentemente al mancato rinnovo del suo mandato quinquennale, quando erano stati allontanati tre sacerdoti, collaboratori del cardinale, a favore dei quali egli aveva tentato un’intercessione dal risultato nullo.
Netta la considerazione su questo metodo, disapprovato a chiare note ed applicato – non lo si dimentichi – in tanti altri licenziamenti di dipendenti vaticani, prima e dopo l’analoga esperienza vissuta dallo stesso cardinale: «Purtroppo, questo modus operandi ha causato parecchia inquietudine all’interno del Vaticano in questi anni».

Modus operandi ripetutamente e dettagliatamente denunciato su queste pagine e in articoli giornalistici puntualmente rilanciati, nel corso degli ultimi anni, relativamente al “caso Hasler”. Insieme alla segnalazione di un altro dato che risulta comune alla vicenda dei suoi ex collaboratori, in difesa dei quali il card. Müller dichiara di essersi speso presso il papa, nel tentativo fallito di fargli cambiare idea.

Tentativo di mediazione, peraltro, messo in atto da Papa Ratzinger, al momento del “dimezzamento” del suo segretario personale nel ruolo di Prefetto della Casa Pontificia – e altrettanto disatteso – come ha rivelato lo stesso mons. Georg Gänswein nel suo libro di memorie “Nient’altro che la verità – La mia vita al fianco di Benedetto XVI”, uscito il 12 gennaio scorso, con uno strascico di polemiche ed attacchi personali all’autore, che di edificante hanno poco o niente.

Non meravigliano, quindi, le mancate risposte agli innumerevoli appelli e lettere indirizzati, in primis a Bergoglio, in riferimento al “caso Hasler”, con ampia illustrazione circostanziata, a più riprese, su queste stesse pagine. Per cui: ogni altra parola aggiuntiva sarebbe del tutto ininfluente.

Non per questo allenterò la presa, a Dio piacendo, nell’impegno a rimuovere il fango gettato su Eugenio, forte della fede – come scrissi a conclusione della citata Lettera aperta a Sua Santità del 5 aprile 2017 – in Chi «non turba mai la gioia de’ suoi figli, se non per prepararne loro una più certa e più grande». (“I Promessi Sposi”, cap. VIII)
Lettera che, non essendomi mai prestata ad essere eterodiretta, rifiutai di far consegnare brevi manu al papa da chi si era offerto di farlo. Se avessi acconsentito, non solo sarebbe morta come le tantissime altre che gli sono state inoltrate, dall’ Italia e dall’estero, ma nemmeno sarebbe stata letta da quei (sia pur pochi) giornalisti italiani e stranieri che ne hanno pubblicato qualche stralcio.

Quanto alla gioia “più grande” – con la premessa che la situazione antecedente il 28 marzo 2017, che di gioioso aveva ben poco, per motivi ambientali, tuttora ignoti all’opinione pubblica – tutt’insieme, in casa, ci sforziamo con fatica di intravederne qualche sprazzo negli accadimenti quotidiani esterni alla sfera familiare. Alcuni di questi mi sono apparsi di portata tale che, se qualcuno avesse azzardato prima di tali eventi un vago presentimento, in mia presenza, ciò mi avrebbe spinto a reagire come San Tommaso.
E, confesso pure che non sono nemmeno capace di rallegrarmi per una situazione del genere, che soltanto San Francesco riconoscerebbe come “perfetta letizia”, a meno di risorse da santi veri in soggetti purtroppo, finora, non incontrati nella vita di tutti i giorni.

Al di là del profluvio di parole, alla prova dei fatti prive di concretezza, che inondano la nostra quotidianità attraverso ogni mezzo di comunicazione a nostra disposizione, nessuno di noi coltiva l’illusione di trovare, per la soluzione del “caso Hasler”, il famoso “giudice a Berlino”. Né in alcun altro posto di questo mondo.
Di sicuro, però: “verrà il giorno del Giudizio!”, come gridò San Giovanni Paolo II.
Il giorno in cui saranno, finalmente, saziate la fame e la sete di giustizia che, col passare degli anni, fanno sentire con sempre crescente virulenza i loro morsi.

Maria Michela Petti
22 gennaio 2023