Di fango e di danni

4 Giugno 2023 1 Di EH(?)
(Le cattiverie sono cambiali. Le fai oggi, le paghi domani. Proverbi napoletani)

C’è fango e fango. Con l’immancabile sequela di danni diretti e collaterali.
Conseguenze lampanti, quantificabili e risarcibili, sia pure a fatica e con l’impiego di forze in sinergia.

Per quelle scaturite dalla così detta “macchina del fango” ci vorrebbe, invece, un miracolo a sanare lo sconcio delle ferite indelebili e inguaribili, causate con colpevole incoscienza da “macchinisti” seriali di siffatte malefatte, che scatenano reazioni a catena di ascoltatori, morbosamente interessati a tutto ciò che va sotto il titolo in voga oggi di “chiacchiericcio”, e di giocatori da strapazzo con la vita degli infangati con e per l’uso distorto della lingua.

Anche a quest’insieme di individui è riservata la pillola di saggezza condensata nel proverbio napoletano in foto: “Le cattiverie sono cambiali, le fai oggi e le paghi domani”. In un modo o nell’altro.
Peccato! il più delle volte non pagate direttamente al creditore…specie se identificabile come “pesce piccolo” e di riffa o di raffa privo di tutele e di mezzi idonei per farsi sentire.
Sono questi, infatti, i “cenci” di manzoniana memoria al cui registro si iscrisse don Abbondio, coinvolto suo malgrado nella liberazione di Lucia dal “convertito” Innominato, e rimasto con la mente imprigionata nell’ordine del temuto don Rodrigo. «I colpi – ne era più che convinto – cascano sempre all’ingiù; i cenci vanno all’aria». (“I Promessi Sposi”, Cap. XXIV)

Sono andati per aria, in men che non si dica, i sacrifici di una vita intera e i progetti per il futuro degli abitanti delle zone romagnole colpite pesantemente dall’alluvione del maggio scorso. E, in tale tristissima situazione, si è assistito al replay di testimonianze di solidarietà e generosità che accendono una luce di speranza nel domani dell’intera comunità italiana e del nostro Paese, tanto bello quanto vulnerabile per il suo traballante equilibrio idrogeologico.
La parte più aggraziata e preziosa dell’anima dell’Italia, ancora una volta, si è fatta ammirare in quelle creature che, grazie a Dio, ci sono e che sanno rispondere alla voce della loro coscienza ben forgiata. Creature che, spontaneamente, senza ricevere appelli che si sprecano invece a favore delle più svariate campagne – sulla falsariga di quelle “pubblicità progresso” – si sono lanciate corpo e anima nel fango vero e proprio, depositato dall’ultimo in ordine di tempo imprevedibile disastro ambientale, per offrire: soccorso, vicinanza e aiuti di vario genere a chi ha rischiato di rimanere sommerso da quel fango.
E via: a spalarlo, ad immergere i propri piedi nel fango per spingere i più fragili, i bisognosi, ad uscirne.
Nulla è importato loro se anche i loro volti si sono sporcati di quel fango.

Le immagini di quell’”esercito” di volontari all’opera, accorsi da ogni dove in Emilia-Romagna, rimarranno scolpite nella memoria collettiva e storica della nostra Italia, a ricordo di un patrimonio valoriale inestimabile.
Tante le storie edificanti registrate dalle cronache delle recenti, lunghe, settimane di difficoltà, vissute da tutti i connazionali col fiato sospeso. Storie raccontate da chi è restato ammirato per le dimostrazioni di concreta compartecipazione al dramma di intere popolazioni, manifestata in vari modi e da soggetti di ogni età, anche distanti dai luoghi alluvionati. Protagonisti di una discreta gara di umanità che non hanno voluto rubare la scena, rimasti lontano dai riflettori che si sono accesi inevitabilmente su quel vasto teatro di devastazione. Mai nessuno, come in ogni altro evento del genere, che si sia lasciato andare alla smania di protagonismo e di esibizionismo.
Fra le altre è trapelata, nei giorni scorsi, la notizia con il comprensibile accenno alla delusione provata a seguito della perdita del lavoro, precario, comunicatagli con messaggio WhatsApp – per aver chiesto un permesso di due giorni da dedicare ai romagnoli in sofferenza – che ha riguardato uno studente universitario del vicentino, il quale si manteneva agli studi con gli introiti dalle consegne a domicilio, senza risparmiarsi sull’orario e senza godere del riposo nei fine settimana.

Non è una minuzia la dote personale che fa di un uomo un essere umano.
«Se provi dolore, sei vivo. Se senti il dolore degli altri, sei un essere umano». (Lev Tolstoj)
Si tratta di empatia: se non la si ha, non si ha neppure la capacità di darsela. È la molla che fa scattare atti di generosità improntata sull’altruismo, indice di nobiltà d’animo, ben distinta dalle maschere pubblicizzate dagli influencer di questo nostro tempo bugiardo.

Intanto che quei volontari si prodigavano per alleggerire il carico delle problematicità originate da quest’ultima calamità, in molti – ai vari livelli, e da ogni postazione mediatica, distante dalle zone disastrate – si stracciavano le vesti a parole, inscenando processi fuori luogo e fuori tempo alla ricerca di cause e colpevoli ravvisati in obiettivi da colpire e affondare per interessi personali o di parte.

Agli “angeli del fango”, in prevalenza giovani abituati a non “far rumore”, negli stessi giorni, inoltre, in varie città-vetrine del nostro prezioso patrimonio artistico-culturale, faceva da contraltare la protesta – legittima, sì, e apprezzabile quanto all’intento mirato – di alcuni “attivisti di ultima generazione”, in azione nel momento a mio avviso sbagliato.
Mi è sembrato, infatti, che cercassero quella visibilità disdegnata dai loro coetanei impegnati sul fronte colpito dalla calamità naturale, sfruttando proprio questa per far prevalere la causa (nobile, sì) per cui si battono, persino sul dolore profondo provato da cittadini in balia dell’avversità, senza un benché minimo pensiero per le vite perdute.
Oltremodo di cattivo gusto il gesto plateale messo in atto a Roma, davanti al Senato, da due ragazze che, dopo essersi spogliate, si sono cosparse di fango. A loro dire: per liberare i Palazzi del potere dal fango della politica. Con molta superficialità rispetto agli sforzi compiuti, nel contesto di drammaticità reale, per liberare persone e cose dal fango che non dà scampo.

Una riflessione a voce alta e chiara andrebbe fatta, inoltre, sui danni economici (appena appena sfiorati) di entità varia procurati alla società nella sua totalità dai neobattezzati “eco-vandali”, con l’impiego di materiali dagli effetti negativi più o meno rilevanti su monumenti e beni paesaggistici, in gran parte “patrimonio dell’umanità”.
Conseguenze sottaciute da sacerdoti e sacerdotesse pronti a supportarli e a usare la massima benevolenza nei loro confronti, con la giustificazione che il nuovo modo di protestare, pur ritenuto per certi versi sbagliato, rientra tuttavia nei canoni del pacifismo. Motivo per cui dovremmo persino frenare ogni risentimento, accettando di buon grado ogni male minore.

Non sarà, invece, che al fondo di queste contestazioni – forse stimolate da eccessivi inviti a “far rumore – si nascondano disagi e vuoti personali, che si tenta di colmare nella ricerca proprio dell’“effetto vetrina”, non essendo capaci di instaurare un proficuo incontro di gruppo e un dialogo costruttivo anche con persone di diversa generazione?

Problemi di vuoto interiore, soprattutto, che seguendo un ragionamento elementare, senza scomodare luminari di psichiatria e sociologia, colgo nei coriacei fabbricatori di notizie false e (ir)responsabili fabbricanti di maldicenza, con annesso fango metaforico.
Difficile, se non impossibile, per i malcapitati presi di mira da tali geni del male scampare al danno…
E, del tutto inefficace l’ossessiva condanna del “chiacchiericcio” da parte del papa regnante, che pure ripetutamente l’ha bollato come “arma letale”.
“La lingua batte dove il dente duole”. Evito la perdita di tempo per tentare di capire i motivi di tale “ossessione”, peraltro oggetto di lucide osservazioni accompagnate da pertinenti consigli, non richiesti e rimasti inascoltati, formulati da attenti analisti della realtà ecclesiale odierna.

Il 20 maggio scorso – qualche giorno dopo l’alluvione in Romagna – incontrando nel Piazzale di Santa Marta, in Vaticano, i cresimati e cresimandi dell’arcidiocesi di Genova, il papa è tornato sul tema ricorrente ad ogni piè sospinto dello “sparlare”.
“Una cosa brutta, una cosa molto brutta”, ha insistito. “E la gente che sparla è gente che perde la dignità, perché si occupa di sporcare gli altri. Sparlare è sporcare gli altri”.
Concordo sulla perdita di dignità degli amanti del pettegolezzo, in preda all’illusione di riuscire a rivestirsi di quella altrui, evidentemente oggetto di desiderio segreto, o di appropriarsi di una qualsiasi altra dote in possesso del soggetto selezionato per il loro tiro al bersaglio, dote di cui si sentono deficitari.
Ma: non sarebbe l’ora di passare dalla sterile e monotona condanna del “chiacchiericcio” ad un approfondimento serio di moventi ed effetti riguardanti lo “sporcare gli altri”, che chiama in causa con i linguacciuti, anche i ricettatori e profittatori di ogni parola sporca e infamante? Procedendo poi con la messa in pratica di provvedimenti atti a rimediare al danno procurato dalle malelingue.
E, non sono d’accordo sul consiglio popolano, sempre lo stesso, ripetuto a più non posso, per ovviare alle gravi conseguenze del loro parlar male degli altri.
“Ma io – ha ricordato Bergoglio ai ragazzi genovesi – ho una medicina molto buona, sapete? Morditi la lingua, sai? E così non sparlerai”.

Più incisivo, a mio parere, l’aneddoto che ha per protagonista il fondatore della Congregazione dell’oratorio, san Filippo Neri, noto per aver rinunciato al cardinalato preferendo ad esso il paradiso. Ne colsi il senso didascalico, senza esserne turbata, durante l’ora di catechismo per la preparazione ai sacramenti della confermazione e dell’eucaristia. Una lezione non all’acqua di rose, come si usa al giorno d’oggi, in ogni occasione “formativa”.
Ad una chiacchierona, che confessava ogni volta la caduta in questo peccato, il Santo diede come penitenza di spennare una gallina e spargere le piume per le strade di Roma, quindi di tornare da lui. La sorpresa della donna fu ancora più grande quando, soddisfatta quella penitenza, si sentì proporre di ripercorrere le stesse vie per raccogliere le penne sparse. “Impossibile!”, esclamò. E San Filippo Neri, sottolineando la pari difficoltà di recuperare le chiacchiere diffuse, le fece notare la gravità del suo peccato per la mancanza di un rimedio al danno causato con il parlare a sproposito…

Magari finissero spazzate via da un soffio provvidenziale del vento le parole pronunciate con intenti che non sfuggono all’occhio vigile del Giudice giusto, pur nella Sua misericordia! Che, forse – o, senza forse – potrebbe non corrispondere alle azzardate interpretazioni di esseri umani, vendute come veritiere…
Nel mentre i caduti sotto i colpi delle malelingue, specie quelli che non hanno “santi” in terra, e non sono abituati ad essere nelle mani dei potenti di turno, svendendo la propria dignità, sono costretti a fare quotidianamente i conti con i danni patiti. Conti che segnano un aumento esponenziale quanto più è il tempo che passa senza che si ponga mano ad una doverosa ed equa riparazione del torto subìto.

Maria Michela Petti
03 giugno 2023