DI GIUSTIZIA E DI PERDONO

13 Settembre 2020 0 Di EH(?)

C’è sempre una mosca “fastidiosa” di troppo!

L’avevo evocata a proposito di “rispetto” dovuto e calpestato; rispetto reclamato a viva voce, anche qui e per il futuro. Essendo questa una questione tutt’altro che banale, ripropongo lo scritto cui mi riferisco, scusandomi con chi avrà già avuto la bontà di leggermi.

All’ Angelus di oggi – 13 settembre – commentando la pagina del Vangelo odierno (cfr. Mt 18,21-35), il papa ha esortato ad imitare il gesto di misericordia del sovrano che, accogliendo la supplica di un suo servo in difficoltà, gli condona il debito in scadenza; esempio immediatamente disatteso da quello stesso servo che a sua volta non dimostra altrettanta “compassione” nei confronti di un suo compagno debitore.

Da questa parabola ha preso l’avvio la lezione su temi non di poco peso: misericordia (fin troppo ricorrente!), giustizia e perdono.

«Nell’atteggiamento divino – ha puntualizzato il papa – la giustizia è pervasa dalla misericordia, mentre l’atteggiamento umano si limita alla giustizia. Gesù ci esorta ad aprirci con coraggio alla forza del perdono, perché nella vita non tutto si risolve con la giustizia lo sappiamo. [Noi ne siamo testimoni! n.d.r.] C’è bisogno di quell’amore misericordioso…

Quanta sofferenza, quante lacerazioni, quante guerre – ha osservato – potrebbero essere evitate, se il perdono e la misericordia fossero lo stile della nostra vita! [Concordo e mi domando: la regola non dovrebbe essere applicata anche e soprattutto in presenza di “casi” molto, ma molto, controversi? n. d. r.]. È necessario applicare l’amore misericordioso in tutte le relazioni umane [Appunto!]…

Non è facile perdonare – ha riconosciuto, insistendo sul tasto del – rancore [che] torna, come una mosca fastidiosa d’estate che torna e torna e torna… Perdonare non è soltanto una cosa di un momento, è una cosa continua contro questo rancore, questo odio che torna. Pensiamo alla fine, smettiamola di odiare… caccia via il rancore, quella mosca fastidiosa che torna e torna. Se non ci sforziamo di perdonare e di amare, nemmeno noi verremo perdonati e amati».

Mi permetto far notare che non tutte le “mosche” – per restare sull’ assioma – emettono lo stesso ronzio; il “fastidio” varia col variare della causa scatenante, degli abusi e delle ingiustizie subìti. Non si può certo equiparare un licenziamento in piena regola ad una irrituale “cacciata” con perdita del posto di lavoro, con l’aggravante della gogna mediatica e la conseguente violenza alla dignità della persona, offesa nella sua integrità.

Resta a imperitura memoria quell’ interrogativo: «Chi sono io per giudicare?» che, a mio avviso, nel “caso” rimosso e sepolto andrebbe posto con una sostanziale modifica in questi termini: «Chi sono io per condannare…senza appello?». Senza tralasciare il deficit su tutto il resto: la compassione e la misericordia per supposti errori; le inevase richieste e “suppliche” avanzate a più non posso; gli appelli a fare “verità e giustizia”.

Già: verità e giustizia! Binomio inscindibile e imprescindibile. Non per nulla è stato promesso: «Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati».

Non riesco a spiegarmi come si possa reclamare giustizia per i torti lamentati da “altri”, i lontani dal proprio “dominio”, per colpa di altri e poi con nonchalance ammettere: «nella vita non tutto si risolve con la giustizia». Cosa ostacolerebbe almeno il tentativo di provarci? come da prassi in ogni contesto democratico.

«La misericordia non è la sospensione della giustizia, ma il suo compimento». Parole sacrosante dello stesso papa Bergoglio alla cerimonia di apertura del 91° Anno Giudiziario del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano, il 15 febbraio scorso, accompagnato dall’ invito agli operatori in ambito giudiziario e investigativo a «perseguire, con sempre più convinzione, la via della giustizia, come via che rende possibile un’autentica fraternità in cui tutti sono tutelati, specie i più deboli e fragili» e, prima di tutto, a «instaurare la giustizia innanzitutto dentro di noi» perché: « È solo questa la giustizia che genera giustizia!”.

Dunque: giustizia da perseguire, da instaurare, da generare; non una giustizia tanto per parlare…

Infine: non ho paura a suggerire la massima cautela nel ventilare lo spettro del rancore. Forse per suscitare sensi di colpa?

Ho trovato in San Giovanni Paolo II la perfetta sintesi fra il “caso” nostro e il “rancore” evocato all’ Angelus di oggi: «Dove non c’è rispetto per i diritti umani – dico i diritti inalienabili, inerenti all’uomo in quanto è uomo – non ci può esser pace, perché ogni violazione della dignità personale favorisce il rancore e lo spirito di vendetta».

Se e nella misura in cui si sgombera il campo da tutto ciò che favorisce il rancore e quel che ne consegue, si agevola quel lungo, difficile, percorso della persona offesa verso il perdono, non dimenticando che si perdonano gli errori a chi ha il coraggio di ammetterli e ricordando con Sant’ Agostino che: «Dove c’è amore non c’è bisogno del perdono, perché quando ami, ami e basta».

Pertanto: si rifletta bene prima di invocare un “perdono” tout court.

Maria Michela Petti