Paese che vai, processo che trovi. Ad eccezione di quello negato nel “caso Hasler”

1 Agosto 2021 2 Di EH(?)

Un singolare intreccio di eventi, nei giorni del fine luglio appena archiviato e segnato da temperature roventi non solo sul versante climatico, è sembrato accorciare le distanze fra le due sponde del Tevere, piombate in un clima di alta tensione per l’impellenza di affrontare lo stesso spinoso problema: quello della giustizia, sia pure per esigenze e con obiettivi diversi, aventi comunque un denominatore comune: il processo con tutte le sue implicazioni.

Dopo settimane di fibrillazioni per il governo italiano impegnato in una difficile trattativa con le anime della sua maggioranza eterogenea, per sciogliere i nodi relativi alla durata del processo penale e alla prescrizione, che ha messo a rischio una di quelle riforme pre-condizione per la concessione dei finanziamenti europei del Recovery Fund, nel Consiglio dei ministri del 29 luglio si è raggiunto l’accordo su due modifiche tecniche alla riforma della giustizia penale, in precedenza ribattezzata “mediazione”, ora in attesa dell’approvazione da parte del Parlamento.
Non entro nel merito delle questioni di natura giudiziaria sollevate nel corso delle discussioni fra le forze politiche in campo, che ne hanno accompagnato l’iter lasciando anche una scia di polemiche e di quesiti irrisolti.

Mi limito a rilevare la coincidenza temporale con il processo definito “storico” che, appena due giorni prima, il 27 luglio, si era aperto nell’aula polifunzionale dei Musei vaticani, allestita per rispondere alle esigenze dettate dalla sua celebrazione. Processo che ruota intorno alla controversa vicenda dell’acquisto da parte della Segreteria di Stato di un palazzo a Londra; vicenda che, di sicuro, non mi ha appassionato fortemente fin dall’inizio ma che seguo – per la verità – con un pizzico di curiosità in più rispetto ad altre che di volta in volta balzano agli onori della cronaca.

Allora: perché questa lunga premessa e l’interesse all’ argomento? Semplicemente, per far emergere un particolare di vitale importanza: l’attenzione al tema “processo” e, in parallelo, un dato contrastante con i principi guida dell’attività giudiziaria in ogni dove.
Nel nostro Paese – l’Italia – sempre oggetto di rivendicazioni sociali al fine di scongiurare e superare errori umani e ingiustizie, non di rado registrati, a tutela dei diritti dei cittadini garantiti dalla nostra Costituzione e dai trattati internazionali.
Le caratteristiche proprie e le novità introdotte nell’ordinamento giuridico vaticano, che si sono aggiunte alle motivazioni basilari comuni alla giurisdizione dei singoli Stati ed anche di altri organismi sovranazionali, hanno ampliato il rilievo attribuito dai mass media e nell’opinione pubblica al processo che riprenderà in Vaticano il prossimo 5 ottobre, già di per sé di sorprendente rilevanza.

Dunque: Paese che vai, processo che trovi. Ad eccezione di quello non accordato nel “caso Hasler”.
Eh, sì; è al punctum dolens che miro, sul quale restano concentrati il mio pensiero e l’obbligo morale che impegna le mie forze. È sul processo mancato – più precisamente richiesto, inutilmente, per ben tre volte, da Hasler, condannato sic et simpliciter… sulla parola – che le cronache dei giorni scorsi mi offrono l’occasione di tornare a richiamare l’attenzione. Un processo negato che non ha concesso al malcapitato alcuna possibilità di difendersi da addebiti mai formalizzati e men che meno provati, e però trasmessi agli atti di un processo mediatico con tutte le conseguenze note e non, di una gravità difficilmente immaginabile e quantificabile.

A ogni buon conto, sarebbe stato oltremodo doveroso attenersi alla regola aurea suggerita anche da Luigi Pirandello:
«Prima di giudicare la mia vita o il mio carattere mettiti le mie scarpe, percorri il cammino che ho percorso io.
Vivi il mio dolore, i miei dubbi, le mie risate.
Vivi gli anni che ho vissuto io e cadi là dove sono caduto io e rialzati come ho fatto io.
Ognuno ha la propria storia.
E solo allora mi potrai giudicare». (Dalla Raccolta “Poesie sparse”)

Non di rado, riavvolgendo il nastro dei ricordi, ritorno con la mente alla scena del film “Miseria e nobiltà” in cui al mitico Totò non bastò la grandezza del suo ingegno per trarre in inganno il “cafone” ignorante, al quale non riuscì a riciclare una lettera di riserva, pronta all’uso, dopo il tentativo fallito di indottrinamento sulla validità dell’ignoranza.

Nemmeno io, pur riconoscendomi ignorante secondo il convincimento di Socrate, mi sono lasciata confondere dall’argomentazione, neanche tanto velatamente maliziosa, del Generale dei Gesuiti padre Arturo Sosa a proposito dell’autenticità della predicazione di Gesù. Nell’intervista rilasciata a Giuseppe Rusconi e pubblicata sul suo sito “Rossoporpora” il 18 febbraio 2017, il “papa nero” puntualizzò tra le altre cose: «Intanto bisognerebbe incominciare una bella riflessione su che cosa ha detto veramente Gesù… a quel tempo nessuno aveva un registratore per inciderne le parole. Quello che si sa è che le parole di Gesù vanno contestualizzate, sono espresse con un linguaggio, in un ambiente preciso, sono indirizzate a qualcuno di definito».

Credendo invece fermamente nella Sua Parola di Vita e Verità e confidando nelle Sue promesse, ricordo – innanzitutto per il conforto dell’animo – il monito del Maestro ai Giudei: «Non giudicate secondo le apparenze; giudicate con giusto giudizio!» (Gv 7,24), cui seguì di lì a poco, in risposta ai capi dei farisei che avevano ordinato alle guardie l’arresto di Gesù, la domanda retorica di Nicodemo, uomo di legge e “uno di loro”: «La nostra Legge giudica forse un uomo prima di averlo ascoltato e di sapere ciò che fa?». (Gv 7, 51).

A maggior ragione, quindi, mi viene spontaneo chiedere: si può emettere una sentenza (orale) di condanna senza appello senza far sapere, con prove documentate, all’opinione pubblica – cui è stato dato in pasto senza un minimo di decenza – ciò di cui si sarebbe macchiato il condannato, a seguito di un giudizio sommario elaborato in assoluta segretezza?
Altro che: “giusto” o “equo” processo; tema, appunto, all’ordine del giorno!
Inoltre: nonostante risulti, fino a prova contraria, che Eugenio Hasler non è mai stato sottoposto a processo e neppure indagato, pare che per lui non valga nemmeno il “diritto all’obblio”, introdotto nel 2016 dalla normativa europea sulla tutela della Privacy, all’articolo 17 del Gdpr, in base alla quale i motivi appena richiamati dovrebbero costituire titolo obbligante per i motori di ricerca a deindicizzare le notizie diffamanti sul suo conto fatte filtrare ad arte. Invece: si moltiplica in Rete il ricorso all’uso strumentale del suo nome e al ricordo della squallida vicenda che lo riguarda per pubblicizzare siti e blog di ogni specie.

Da un giorno all’altro, eccoci all’ oggi, 1.mo agosto, Festa nazionale svizzera.
E mi piace concludere salmodiando idealmente con i concittadini elvetici (per i miei figli tali per diritto alla nascita, per me acquisito con il matrimonio) la terza strofa dell’Inno nazionale:

«Se di nubi un velo m’asconde il tuo cielo
pel tuo raggio anelo Dio d’amore!
Fuga o sole quei vapori
e mi rendi i tuoi favori:
di mia patria deh! Pietà,
di mia patria deh! Pietà,
brilla, sol di verità,
brilla, sol di verità».

Spunterà il “sol di verità”, ne sono certa, perché credo al messaggio racchiuso – e da mettere in pratica – in quella che viene definita “parabola della luce”: «Non c’è nulla di nascosto che non debba essere manifestato, nulla di segreto che non debba essere conosciuto e venire in piena luce». (Lc 8, 17). Anzi: qualche raggio di sole si è già fatto strada fra le nubi…

Maria Michela Petti
01 agosto 2021